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Ulrich Egger
"Erst das auge schafft die welt?" (perchè il paesaggio non è solo visibile, ma cognitivo?) .
dal 12/2/05 fino al 21/4/05
presso
LAC Lagorio Arte Contemporanea
La recente ricerca di Ulrich Egger combina immagini fotografiche a innesti di scultura. Dopo essersi interessato agli edifici dimessi (officine, fonderie, ciminiere, etc), simbolo di un’era industriale in via di estinzione, il soggetto prende ora in prestito il suo immaginario direttamente dai cantieri, si spinge alle origini stesse del “fare” e del “farsi” architettura. Superfici in metallo, ferro o acciaio, riprendono le forme della geometria insita nell’architettura moderna, ancora in fieri, mentre le foto circoscrivono la visione in base ai muri perimetrali, alle piante di fondazione dei palazzi; verghe, tralicci, cemento modulano lo spazio fisico, si fanno aggettanti e ragionano in termini di tautologia sui materiali dell’edilizia.
Scrive Alberto Zanchetta nella presentazione al catalogo: «Conseguentemente al postmoderno che ripensava l’edificio in qualità di scultura, Egger esaspera il concetto di edificio-scultura per farne (o comunque trarne un’idea di) monumento. Un implicito desiderio di sconfiggere la caducità – seppur risibile nella ruggine che intacca le superfici non cromate – pervade i materiali da lui usati, pesanti, resistenti, mentre la fotografia fissa nell’immortalità il soggetto, lo rapisce dalla sua contingenza, dall’inesorabile declino. Le nozioni di dur e durée si integrano addentrandosi nell’aevum, verso un inizio che non ha una fine, ambendo alla procrastinazione del mnema [il ricordo]. I due assunti assumono infatti valore di “ritardo”, ritardo della fugacità, della transitorietà, della scomparsa, concetti che vengono elusi dalla (apparente) inconciliabilità della fotografia con la scultura. Da questo rapporto antitetico, già rilevato da Andreas Hapkemeyer, si genera un attrito che porta a una collisione in cui i corpi si compenetrano con violenza; per absurdum ne nasce un’equivalenza della linea e del segno che si rifrange dal quadro-foto. I particolari di superficie diventano aggettanti, si fanno elemento sintattico, assurgono a barriere/confini per delineare i limiti fisici dell’immagine. Ne marcano il contorno, si continuano sui margini, con la res che è metallo, che è acciaio prospiciente lo spettatore.
L’effetto tattile e ottico accentua così l’impressione della profondità intrattenendo una relazione con lo spazio reale-virtuale e consentendo all’opera di assommare i caratteri inversi della astrattezza [l’architettura] e della corporeità [l’acciaio]».
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