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Il Mondo delle figure
dal 25/3/07 fino al 17/5/07
presso
Palazzo Martinengo
Comunicato stampa
Curatore: Luigi Allegri
Quando si parla di burattini, marionette, pupi ed ombre – ovvero di quelle forme di spettacolo che oggi si è soliti accomunare sotto la definizione di “teatro di figura” – si rischia sempre di essere fraintesi. Certo, ormai nessuno può più misconoscere la dimensione pienamente “culturale” di queste antiche esperienze teatrali, che hanno attraversato vivacemente molti secoli della storia dell’uomo ed hanno lasciato tracce in terre e culture anche molto lontane tra loro; tuttavia, ancora oggi al teatro di figura si continua a guardare in maniera estremamente paternalistica, come ad un genere spettacolare cui tutt’al più si può riconoscere un certo fascino ingenuo ed elementare, ma che sostanzialmente si tende a qualificare come semplice divertissement, lontano anni luce dalle raffinatezze drammaturgiche e dal virtuosismo attoriale del teatro cosiddetto “serio” adatto e dunque ad un pubblico infantile o scarsamente acculturato.
Eppure, le varie forme del teatro di figura hanno ampiamente dimostrato eccezionali potenzialità espressive e di comunicazione, che è tecnicamente impossibile ottenere con altre forme di spettacolo. Ecco, l’obiettivo della mostra è proprio questo: dimostrare che burattini, marionette, pupi ed ombre possiedono un’alta carica sperimentale, che li rende meritevoli di specifico approfondimento non solo a livello folkloristico, ovvero per recuperare una tradizione altrimenti a rischio di estinzione, ma anche e soprattutto sotto l’aspetto più specificamente teatrale.
Innanzitutto, vale la pena di chiarirsi un po’ le idee sulle caratteristiche di ciò di cui stiamo parlando. Anche se è certamente utile raccogliere le varie figure animate sotto un’unica definizione, le reciproche differenze tra le categorie sono evidenti sotto diversi aspetti, pri-mo fra tutti quello tecnico. Propriamente, il burattino è quello che si muove dal basso, con la mano del burattinaio inserita nel vestito che simula il corpo e le dita che articolano la testa e le due braccia; la marionetta è mossa dall’alto tramite fili raccordati alle articolazioni e dunque è dotata di una possibilità di movimento molto maggiore; i pupi, simili alle marionette e dunque mossi dall’alto, sono retti in realtà da aste di ferro e presentano una minore articolazione; le ombre sono appunto ombre che lo spettatore vede proiettate su uno schermo da silhouettes poste tra questo schermo e una fonte di luce. A queste categorie si aggiunge infine anche quella più eterogenea e complessa degli “oggetti”, che in mostra non è rappresentata e di cui non parleremo nello specifico, ma che è altrettanto interessante: si tratta semplicemente di oggetti di uso quotidiano che vengono fatti muovere in maniere diverse, cambiando in tal modo il proprio valore semantico e assumendo spesso atteggiamenti “umani”.
Oltre che dal punto di vista tecnico, le varie categorie si differenziano anche per la diversa diffusione geografica e sociale. I burattini, terreni e grossolani, hanno riscosso notevole fortuna in ambito popolare, ma non si sono affermati presso le classi acculturate; diverso il caso delle aeree ed immateriali marionette, che pur collocandosi nelle medesime aree hanno riscosso grande successo anche presso un pubblico altolocato ed aristocratico. I pupi sono una sorta di via di mezzo: anche se il loro successo è eminentemente popolare, di fatto essi propongono una curiosa mescolanza di elementi letterari colti e di spettacolarità anche “bassa”, materiale, talvolta addirittura truce. Le ombre hanno invece conosciuto sia umilissimi teatrini di strada, sia vasti palcoscenici di dignità imperiale. Quanto alla collocazione geografica, nel nostro paese burattini e marionette si sono affermati soprattutto nell’Italia settentrionale, ma hanno conosciuto anche significative puntate in territorio romano e napoletano; i pupi sono invece tipicamente siciliani, ma una certa fortuna hanno riscosso anche in Campania, in Puglia e nel Lazio. Le ombre sono invece un fenomeno soprattutto cinese e indonesiano, e in seguito anche turco; in Europa si sono diffuse soprattutto a partire dal Settecento, con molti secoli di ritardo.
Le origini del teatro di figura sono antichissime: le prime marionette sono state realizzate in India e in Egitto molti secoli prima di Cristo, come strumenti funzionali al culto religioso, e manufatti dalle medesime caratteristiche sono comparse in Europa nella Grecia dell’VIII secolo a.C. Più recenti sono i burattini e soprattutto i pupi, che non ebbero mai la destinazione cultuale e religiosa delle marionette. Quanto alle ombre, i primi spettacoli documentati (in Cina e in Indonesia) risalgono al VII secolo d.C.
Su quanto accadde nel Medioevo europeo ci sono ipotesi molto diverse, e non abbiamo alcuna certezza; sicura è però la riscoperta di automi e pupazzi animati nel Rinascimento, e soprattutto la fortuna moderna dei burattini prima e delle marionette poi a partire dal secondo Cinquecento, in non casuale contemporaneità con l’affascinante vicenda della Commedia dell’Arte. Da lì in avanti, e almeno fino all’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione di massa nel corso del XX secolo, il teatro di figura ha fatto parte della vita quotidiana degli uomini di ogni condizione sociale, mantenendo viva sino ad oggi una tradizione secolare.
All’inizio del XX secolo, però, qualcosa ha cominciato a cambiare. Certo, i discendenti delle antiche dinastie di opranti hanno continuato a lavorare secondo i dettami della tradizione, ma in questi anni al teatro di figura hanno cominciato a guardare con estremo interesse anche i protagonisti della cultura teatrale. Così, seguendo la folgorante intuizione ottocentesca di Kleist e Hoffmann, molti drammaturghi, teorici e registi del nuovo teatro avan-guardistico (a partire da Jarry, Maeterlinck, Schnitzler, Mejerchol’d e Craig) cominciarono a sperimentare nelle proprie opere le potenzialità comunicative del teatro delle marionette, nella ferma convinzione che attraverso alcune delle sue corde espressive e recitative più specifiche – prima tra tutte la rinuncia ad un attore “psicologico” –, si potesse rinnovare alla radice il teatro europeo, andando a scoprire territori scenici e drammaturgici ancora inesplorati dalla cultura ufficiale. E così oggi, almeno nei casi migliori e più consapevoli, il teatro di figura ha ormai filtrato i propri meccanismi tradizionali attraverso la consapevolezza teorica delle avanguardie storiche, e può dunque operare in maniera coscientemente sperimentale, sottolineando tutto ciò che lo differenzia dal teatro d’attori e preoccupandosi di rinnovare la propria tradizione attraverso scelte precise, significanti e in certi casi rivoluzionarie.
Ma burattini e marionette sono anche tradizione, e tradizione specificamente padano-settentrionale. Schiacciata tra la grande scuola emiliana e la non meno fulgida produzione bergamasca, Brescia non è stata propriamente un centro creativo di prima importanza: non è mai riuscita ad imporre sulle scene una cultura burattinesca e marionettistica dal carattere immediatamente riconoscibile, ed è mancato nel bresciano un personaggio dalla forza propulsiva paragonabile a quella degli emiliani Sandrone, Fagiolino e Bargnocla, o del bergamasco Gioppino. Pure, nel corso dei secoli il territorio bresciano ha saputo regalare un alto numero di professionisti di notevole valore, organizzati in compagnie o attivi come solisti, che hanno saputo portare nelle piazze e nei teatri della provincia le esilaranti vicende delle loro commedie. E il teatro di figura resta sempre e comunque questo: divertimento, sorpresa, fascino spettacolare, suggestione fanciullesca. Ed è per questo che la mostra propone un allestimento scenografico, nonché spettacoli di burattini per le famiglie e laboratori per le scuole del territorio. Perché è sempre necessario ricordare che burattini e marionette, per quanto possano presentarsi come manufatti tecnicamente pregevoli ed esteticamente appaganti, non sono "opere d'arte" in senso classico, ma innanzitutto "strumenti" funzionali ad uno show, nel cui contesto animato e spesso vorticoso si devono dunque interpretare.
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