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Il Naturalismo esistenziale
Antonio Pedretti
dal 12/10/06 fino al 11/11/06
presso
Show Room Telemarket
Comunicato stampa
E’ il paesaggio, e ancor di più il sentimento della natura il filo
conduttore del percorso artistico di questo importante artista lombardo
contemporaneo.
Pedretti parte dai grandi maestri del paesaggio della grande tradizione
inglese e francese: Turner ''per la materializzazione della pittura di luce e
quel gran senso d’aria che vi circola'', Constable per ''l’invenzione e le luci'', Monet di cui studia a non finire le ninfee e di cui predilige l’ampia dimensione delle tele. Significativa per l’artista sarà anche la tradizione di paesaggio della scuola pittorica lombarda italiana tra '800 e '900:
Gaetano Previati, Giovanni Segantini, Ennio Morlotti di cui comprende nel profondo il loro naturalismo.
E’ lo stesso artista che in un’intervista afferma: ''Ho riflettuto sulla pittura di Morlotti, quella degli anni sessanta soprattutto, nella quale la materia opulenta esprime un’energia di trasformazione che mi ha interessato molto. Della tradizione lombarda credo di aver ereditato lo sguardo ampio,
la propensione a calarsi nella natura e poi l’attenzione alle luci ed alle acque e quindi al trascorrere del tempo, tutti elementi di mobilità che sono attuali come sensibilità. I miei colori umidi, soffusi e sommessi possono considerarsi lombardi. Qualche volta possono evocare il vuoto, il buio, ma non sono tragici. Il riferimento al Seicento lombardo, che è stato pure
fatto è relativo forse a qualche umore, ma nella mia pittura c’è un sentimento laico, legato alla concretezza dei processi naturali.''
Il paesaggio per Pedretti, si identifica con il suo legame con l’acqua, e, in particolare, con le zone dove l’acqua del suo amato lago diventa palude.
Dichiara l’artista: ''è il luogo fisico, ma anche mentale che rivela segreti sulla mia, sulla nostra piccola storia temporale, forse anche un regno del
silenzio dove posso compiere senza essere disturbato i miei viaggi interiori''. L’acqua diventa simbolo dell’inconscio, rappresenta il nostro
doppio che pulsa dentro di noi attraverso gli istinti e i sentimenti. ''Ho sempre dipinto solo il lago – afferma – anzi la palude: fazzoletti di quella
natura per trovare la mia verità''.
Ma non conta più riprodurre la natura così come appare, secondo il principio della mimesi, ma così come la si interpreta e la si percepisce.
Ecco che allora i paesaggi diventano luoghi simbolici, reali, ma nello stesso tempo immaginari, privi di particolari che permettano di individuarne
con esattezza le località e caratterizzati da una totale assenza di presenze umane. Divengono ''Il luogo dello spirito – come afferma Giovanni Faccenda - fortemente evocativo, esso è fonte di ispirazione, ma soprattutto rifugio
sicuro nel grembo umido delle sue foschie odorose di muschio.''
Quindi una culla materna, un legame al femminile estremamente forte, tanto da portarlo nel 2000 a lasciare il lago di Varese per un avventuroso viaggio in Amazzonia e per un serie di mostre organizzate in Brasile.
La grandiosità del paesaggio e la ricchezza dei contrasti cromatici suggeriti dalla lussureggiante vegetazione dilatano la forza e l’ampiezza
della gestualità e la carica emotiva che già caratterizzavano i precedenti dipinti dell’artista. La forza della natura è smisurata e l’uomo non può comprenderla fino in fondo. La pittura diventa così astratta anche se
Pedretti non riesce ad abbandonare completamente riferimenti a figure riconoscibili, piante, fiori, che collocano geograficamente i soggetti delle
sue tele. E Sgarbi puntualizza: ''Antonio Perdetti è una vera sentinella del
sentimento della natura, guardiano dello spirito del mondo''.
Ora la materia pittorica si fa sempre più sofferta: a colpi di spatola, graffiata, ferita quasi a voler alludere al faticoso cammino, aperto a colpi
di machete, nella foresta.
''Pedretti – scrive F. Magalhães nel catalogo Azzurro Amazzonia – esimio
paesaggista ritrae la foresta come fosse personaggio. […]. Pedretti ha
intimità con la natura: il lago di Varese e i suoi dintorni, nel nord Italia, fanno parte del suo universo pittorico, soggetto ricorrente nelle
sue tele. L’artista si accosta allo stesso paesaggio, continuamente reinterpretato, in modo via via più denso, con gesti, colori, texture e
materie. Le sue immagini sono trasfigurazioni delle forme dinamiche che governano la natura.
L’Amazzonia è stata per lui una sorta di avventura amorosa, vissuta in una realtà selvaggia, incolta, naturale, radicalmente diversa dal bucolico
paesaggio italiano.''
BIOGRAFIA
Antonio Perdetti nasce il 2 febbraio 1950 a Gavirate in provincia di Varese.
La sua formazione avviene, dapprima, alla scuola di pittura del Castello Sforzesco e poi all'Accademia di Brera che abbandona nel 1972. Nel
frattempo, all'età di sedici anni, ha già allestito la sua prima personale alla Galleria Ca' Vegia di Varese con opere dipinte a spatola in cui erano
rappresentati, con un certo sentimentalismo e una pregevole, precoce abilità tecnica, paesaggi, casolari, fiori, alberi, acque stagnanti.
Soggetto quest'ultimo che resterà una costante all'interno del percorso dell'artista, nato sulle rive del lago e dunque intimamente legato a questo
genere di paesaggio naturale.
Dopo aver partecipato ad alcune collettive, fra le quali ricordiamo il Premio Nazionale Varese Arte, ordina nel 1970 una seconda personale alla
Galleria Ghiggini di Varese con alcuni nudi che ricordano certe dolcezze segniche di un De Pisis o un Bonnard, e con una serie di paesaggi dedicati
alla Sicilia. Scrive Gian Franco Maffina in catalogo: 'Egli ancora con gli occhi pieni di umide tenerezze di questa terra lombarda si sarà trovato
certamente attonito di fronte alla violenta bellezza del nostro Sud, alla luce accecante dei suoi muri riarsi da un sole implacabile e dalla salsedine
marina, alle sue spiaggie abbacinanti, al suo mare increspato dal caldo vento d'Africa e lo si avverte questo suo turbamento quasi attonito in queste sue borgate costiere dove il silenzio è rotto solo dallo scalpire di un asinello o dal richiamo da nenia orientale del venditore ambulante'. Due
anni dopo espone alla Galerie L'Angle aigu di Bruxelles ottenendo un lusinghiero successo di critica sulla stampa belga. Lo presenta Renato
Guttuso: 'Caro Pedretti, benché tu sia molto giovane, il tuo lavoro offre già alcuni elementi sicuri per giudicare delle tue doti non comuni. Non si può non essere colpiti dalla sicurezza con cui il tuo segno, le tue note di colore definiscono un paesaggio, una figura, un intero nei suoi tratti
essenziali; del piglio con cui il tuo disegno ha la capacità di penetrare la forma, ad indagarla con precisione, senza cadere nell'analisi minuziosamente accademica. Oggi il tuo lavoro si trova ad un punto assai serio, e mi pare
che i tuoi dipinti recenti contengano elementi nuovi rispetto alla felicità e facilità delle tue precedenti pitture. C'è la coscienza di un impegno
nuovo e di nuove difficoltà. E' la premessa di un balzo in avanti'.
A questo punto, dopo una mostra alla Galleria Ghiggini di carattere riassuntivo, inizia per l'artista una pausa riflessione, un periodo di ripensamento durante il quale si ritira dall'attività pubblica per una
silenziosa e pensosa opera di ricerca, rivede le esperienze artistiche finora vissute e le rimette in discussione. I primi risultati di questa appartata fase di sperimentazione sono una serie
di paesaggi immaginari composti solo di onde marine e di vaganti nubi e fissati in atmosfere sospese percorse di vivida luce. E' il gesto, alla
maniera di Pollock, ad assumere importanza in queste opere della seconda metà degli anni '70, un gesto ampio e disteso che consente alla materia
pittorica di espandersi e corrugarsi, di brillare in vividi colori e di disegnare trame allusive. Dipinge queste immagini 'informali' su fogli di
pvc o di plexiglass e le rinchiude all'interno degli stessi stratificando i materiali ed utilizzando anche delle resine. Viana Conti nella presentazione
della mostra Ceneri a reazione, tenutasi nel 1982 al Luogo di Gauss di Milano, vede in queste scelte un punto di avvio: 'Il pittore, dopo essersi
scatenato nelle grandi dimensioni e dopo aver dimostrato di poter invadere il mondo, ritesse uno spazio di gioco e di analisi e ricomincia a parlare
dietro un velo. La soglia al di là della quale ripete i suoi gesti pittorici è quella della trasparenza di una lastra di plexiglass. Ma quella lastra è
lì per creare una distanza, per funzionare ancora come una finestra, un punto focale dello sguardo. La libertà dell'artista, nelle sue opere
recenti, non è cercata nell'estensione massima delle braccia, nell'urlo a voce spiegata, ma in una successione di piccoli gesti e di modulazioni della
voce. Quel pensiero del limite che prima diventava angosciante, ridiventa per questo artista praticabile, quando addirittura non è una condizione per dare continuità al discorso arte. L'idea di frammento, liberandosi di una
connotazione rovinosa ricrea una condizione di partenza per la costruzione non più del monumento del passato, ma di un documento presente.
Nel lavoro di Pedretti è recuperabile un ricordo di matrice informale, che nel tempo si è svuotato di significati e di valori, trovando nella frequentazione della materia' e dei colori... pulsioni magiche e ludiche'.
Per Marco Meneguzzo, invece, con queste opere l'artista si pone sul confine oltre il quale la pittura invade altri territori: 'E' indubbio che la
pittura di Pedretti sia pittura di paesaggio - e quanto egli debba a certo naturalismo lombardo non viene certo nascosto-; il fatto oggi sorprendente è piuttosto che questo paesaggio vuol essere paesaggio di natura e non, ancora
una volta, paesaggio d'arte. Non è dunque la sua operazione 'manieristica' per quanto oggi si possa sfuggire al manierismo -che mutua la propria ragion d'essere soltanto dall'arte. Posizione rischiosa da sostenere, ma audace e,
paradossalmente, nuova: come se una positiva fiducia in se stessi e nei mezzi della pittura potesse aver la forza eversiva di ribaltare tendenze e
direzioni, che mostrano sì qualche sintomo di stanchezza, ma che tuttora sembrano senza alternativa. Non l'attraversamento delle immagini e della storia dell'arte, non l'analisi e il tormento degli strumenti ultimi della pittura, ma un referente antico e nuovo al contempo, un tentativo di rivitalizzare e di riannodare i fili forse non totalmente recisi con certa tradizione, specialmente d'impianto romantico. Le trasparenze che Pedretti raggiunge attraverso ripetute colate di resina e di pittura sono trasparenze che possono ricordare persino i cieli tiepoleschi, ma anche un cielo lombardo 'così bello quando è bello'. Un'altro naturalismo? La questione è vecchia come la pittura...' (presentazione al catalogo della mostra
personale al Luogo di Gauss, Milano, 1983).
Ed in effetti la questione del naturalismo in Pedretti è centrale come dimostrano i suoi esiti ulteriori. Difatti, abbandonate, a partire dalla metà degli anni '80, le velleità delle
avanguardie contemporanee, ritorna in una certa misura a quel senso della natura delle origini, a liriche evocazioni paesistiche, memori però della
gestualità informale e soprattutto della lezione di tre grandi maestri del genere: Constable, Segantini e Morlotti. Dei primi due ritroviamo nelle immagini di Pedretti il sapiente uso delle scansioni cromatiche e la grande capacità di
strutturare l'insieme per giochi chiaroscurali; del terzo, appare evidente il rapporto -diremmo- terragno con la materia, la quale sempre tende più a solidificarsi e ad acquistare spessore. Indubbiamente queste sono solo referenze culturali, le solide basi su cui poggiano le costruzioni
pittoriche di Pedretti il quale si affida a sensazioni visive, ma soprattutto ricrea in studio sul filo della memoria visioni che già sono depositate nel suo immaginario fin dall'infanzia, che affiorano e si
accumulano ad ogni esperienza. E, se dapprima rendeva delle ampie panoramiche dei paesaggi lacustri, delle erbe di palude e dei canneti, ora pare immergervisi, in un rito quasi di sapore simbolico, per evidenziare un dettaglio, per isolare un particolare, per mettere a fuoco uno stelo o un fiore o un intero cespuglio.
Orari: Martedì - mercoledì - venerdì - sabato 10.00 - 13.00 / 15.30 - 19.30 Giovedì 10.00 - 22.30
Domenica e lunedì chiuso
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