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Immediatamente
Mario Schifano
dal 4/5/06 fino al 10/6/06
presso
Show Room Telemarket
Comunicato stampa
''Ti consideri un uomo forte?''
''Fortissimo. Ho la debolezza giusta di fronte a cose contro le quali non è possibile lottare''.
Moravia e Schifano (intervista del 9 maggio 1974, su ''Il Mondo'' pag. 16-17)
Questa esposizione ospitata nelle sale della galleria bresciana di Telemarket vuole dare risalto ad un interessante aspetto della poetica di Mario Schifano: la mediaticità.
Egli stesso si definisce in un’intervista a Moravia del 1974: ''.. Io veramente non sono un pittore, ma uno che ha una grande attitudine a guardare''.
Questo suo dono innato lo rende speciale ai nostri occhi.
In un momento storico, come quello attuale, dove l’apparente e il superficiale godono di grande consenso, la capacità tipica di Schifano di saper guardare, ci inoltra nel talento innovativo di quest’artista contemporaneo, e ne spiega in parte la grande lungimiranza, anzi quasi preveggenza nella sua produzione.
Si, perché Schifano non solo guarda, ma VEDE.
Il gap fra queste due azioni prevede un processo intellettivo di evoluzione. E come se non bastasse, il vedere di Schifano, in questa particolare produzione di opere, implica il coinvolgimento tecnico di strumenti atti a STOPPARE, cioè a comandare il fermo immagine che salva, isola, marca un unico fotogramma, talmente importante e significativo da essere elaborato per divenire un’opera d’arte, proiettato immediatamente e immediaticamente in una nuova dimensione percettiva e mentale, dove diverrà il VEDUTO, emblema della poesia virtuale e mediatica di Schifano, consegnato alla riflessione di tutti.
L’artista italiano che più di ogni altro, negli ultimi cinquant’anni, ha dato attenzione ed importanza all’immagine, dapprima fotografica con le famose polaroid, successivamente con il computer e soprattutto con la televisione, trasformando il suo studio d’arte in una specie di sala regia, colma di monitor e di televisori collegati (in tempi non sospetti) con le emittenti di tutto il mondo, ha portato all’esasperazione il concetto di SERIALITA’ della Pop Art americana, di Warhol, issando al ruolo di protagonista l’icona televisiva, elaborata al computer e personalizzata dalla mano dell’artista, quindi reinventando ciò che altri avevano già inventato, e con questo concetto giustifica la negazione dell’arte ''assoluta'', ormai impossibile da proporre in maniera innovativa.
Schifano non è un pittore maledetto, non è un autodistruttivo. Queste definizioni, amate dai neoromantici, non si addicono a quest’artista, a modo suo sereno ed in pace con se stesso, soprattutto negli ultimi dieci anni della sua vita.
Invece, Schifano è un grande artigiano, che, nonostante la famosa rapidità di esecuzione, le infiltrazioni massicce, la semplicità di lettura, l’attualità delle argomentazioni, possiede ancora una mano scrupolosa, una maniacale puntualità propria degli artigiani, come era il padre restauratore.
Ed inoltre, non si può negare che le caratteristiche ora elencate ne abbiamo fatto un grande divulgatore d’arte e d’immagine, riconoscibilissima, tanto da renderlo, in maniera ''mistica'', un PREDICATORE. Uomo di poche parole e propenso alla solitudine, aveva la grande capacità di esprimersi visivamente, con immagini seduttive e adescanti, facilissime da godere, che, unite alla innata attitudine a capire i tempi prima degli altri, lo ha giustamente convinto come il suo dono era una sorta di missione, un obbligo sociale, un privilegio da condividere.
Cenni Biografici
Mario Schifano nasce a Homs in Libia il 20 settembre 1934.
Nel primo dopoguerra si trasferisce a Roma con la famiglia; qui lavora inizialmente come commesso e poi collabora con il padre archeologo e restauratore al Museo etrusco di Valle Giulia.
La critica comincia ad interessarsi al suo lavoro in occasione della mostra ''5 pittori - Roma ‘60'', alla Galleria La Salita di Roma, dove espone i monocromi insieme a Angeli, Festa, Lo Savio, Uncini.
I monocromi sono per Schifano un punto di partenza; già nel 1961 e poi nel 1966 Maurizio Calvesi scrive, a proposito dei monocromi realizzati in questi primi anni,: ''questo azzeramento, queste prime opere, questo niente, un niente che conteneva un progetto di tutto'' - e ancora - ''il quadro vuoto da cui partiva Schifano fa pensare alla classica tabula rasa, che gli antichi paragonavano alla tavoletta di cera su cui i segni della conoscenza dovranno imprimersi.''
Nel 1962 Schifano va negli Stati Uniti dove si avvicina alla Pop Art, entra in contatto con le opere di Dine e Kline ed espone alla Sidney Janis Gallery nella mostra ''New Realists''.
E’ sempre nel 1962 che l’immagine comincia a essere inserita nel campo pittorico che prima era vuoto: sono loghi e scritte prese dalla pubblicità come: la Coca Cola e la Esso.
Le due passioni di Schifano saranno il cinema e la televisione.
Del cinema, già nel 1969, Schifano afferma: “la pittura, almeno la mia, con i suoi limiti non ha sbocchi, il cinema offre maggiori possibilità di inventare immagini”. Tra la pittura e il cinema per Schifano sembra esserci un’identità di metodo: frammentarietà, velocità (sono del 1963-’64 le sue prime esperienze cinematografiche ''Reflex'' e ''Round Trip'' realizzate durante un viaggio in America).
La televisione sarà invece l’ossessione che lo accompagnerà tutta la vita: sono degli anni ‘70 le prime tele in cui isola le immagini video, le riporta su tela emulsionata e le ripropone con tocchi di colore alla nitro. Dapprima utilizza immagini raccolte negli Stati Uniti per i sopralluoghi del film, mai realizzato, ''Laboratorio Umano'', poi utilizza le immagini trasmesse quotidianamente dalla televisione. Dice Schifano ''il processo è lungo ed elaborato ma solo così riesco ad ottenere quegli effetti di realismo e visionarietà che rincorro con l’immaginazione'' - e ancora - ''Sceglievo l’immagine, era un paesaggio anche quello: il paesaggio che entra dentro casa, che ti vizia di più quello che ti trovi dentro senza saperlo. Naturalmente quello che mi interessava non era la cultura della TV, ma la cultura dell’immagine della televisione.
Nel 1964 partecipa alla sua prima Biennale di Venezia.
Tra il ’70 e l’80 partecipa a importanti mostre ''Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960-‘70'' e ''Contemporanea'' curate da Achille Bonito Oliva, ''Europa/America, l’astrazione determinata 1960-1976'' alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna e ''Arte e Critica 1980'' al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Nel ’74 l’Università di Parma gli dedica una vasta antologica.
Partecipa alle Biennali di Venezia del 1978 – ’82 – ‘84.
Nel 1981 è tra i pochissimi artisti selezionati da Germano Celant per la mostra organizzata al Centre Georges Pompidou di Parigi ''Identité Italienne''.
Nel 1984 al Palazzo delle Prigioni vecchie di Venezia la mostra ''Naturale sconosciuto''.
Gli anni '80 sono caratterizzati da un suo riavvicinarsi alla pittura. Schifano riscopre il fascino dei colori dati direttamente al tubetto senza la mediazione del pennello. Scrive di lui Marco Goldin a proposito di questa fase: ''Sono del 1981 le prime versioni di Orto Botanico. Prende l’animo in un decennio tutto felice in cui la pittura più di sempre celebra i suoi fasti, non ha timori, riverenze e si muove libera, desiderosa di esplorare il grande regno del naturale.''
Nel 1996, con circa quaranta tele, rende omaggio alla sua musa, la televisione. L’anno successivo cura gli allestimenti del carnevale romano.
Muore a Roma il 26 gennaio 1998.
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