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La Valle delle Incisioni
1909-2009 cento anni di scoperte
dal 21/3/09 fino al 10/5/09
presso
Palazzo Martinengo
Il progetto, la mostra, l’allestimento
Era il 1909 quando un giovane naturalista bresciano, Gualtiero Laeng, rinveniva durante una delle sue escursioni in Valle Camonica, nei pressi di Cemmo, un curioso masso istoriato con figurazioni incise e picchiettate sulla superficie della pietra. Spirito vivace e curioso, Laeng inviò ben presto una segnalazione – tuttora non reperita – ad una delle associazioni turistico-culturali che in quegli anni cominciavano a sorgere in tutto il paese.
Non era ancora ben chiara l’importanza epocale del fortunato ritrovamento: all’epoca il fenomeno dell’arte rupestre era assai poco conosciuto, e soprattutto raramente considerato quale autentica testimonianza storica. Ci volle dunque ancora del tempo, e con esso gli studi di alcuni grandi pionieri della ricerca, per cominciare a dare il giusto valore a quelle figurine che da tempo immemore i valligiani chiamavano pitoti (“pupazzi”, “burattini”); tuttavia, il seme dell’interesse – anche sul piano turistico, dato che la segnalazione di Laeng era entrata anche nella prima Guida d’Italia del Touring Club – era ormai gettato. Da quel momento, le montagne della Valle Camonica sarebbero di fatto entrate nel ristretto circolo dei luoghi d’elezione dei grandi studiosi europei e mondiali di arte preistorica.
Il progetto
La mostra “La Valle delle Incisioni. 1909-1979 cento anni di scoperte, 1979-2009 trenta anni con l’UNESCO in Valle Camonica” si inserisce nel progetto La provincia in città, promosso dall’Assessorato alle Attività e Beni culturali e alla Valorizzazione delle Identità, Culture e Lingue locali della Provincia di Brescia al fine di far meglio conoscere e di valorizzare le ricchezze artistiche, storiche e di tradizione dell’intero territorio della provincia, spesso - paradossalmente -poco note anche presso lo stesso pubblico bresciano nonostante il loro interesse spesso eccezionale.
E come è noto in questo caso l’interesse, addirittura di portata planetaria, è non solo manifesto ma anche ufficialmente riconosciuto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (più comunemente nota come UNESCO): il sito n. 94 “Arte Rupestre della Valle Camonica” venne iscritto nella World Heritage List sulla base dei criteri III e VI, ovvero perché “porta una testimonianza unica o, per lo meno, eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà esistente o del passato” e perché “è direttamente o materialmente legato ad eventi o tradizioni in vita, con idee, con credi, con lavori artistici o letterari d’eccezionale valore universale”.
Più nello specifico, l’ICOMOS (International Council of Monuments and Sites) sottolineò che “le incisioni rupestri della Valle Camonica affondano le loro radici ad 8000 anni prima della nostra era. Non è necessario insistere sul carattere particolarmente prezioso delle manifestazioni umane che risalgono ad un periodo così antico”, e che “le incisioni rupestri della Valle Camonica costituiscono una straordinaria documentazione figurata sui costumi e sulle ideologie preistoriche. L’interpretazione, la classificazione tipologica e gli studi cronologici su questi petroglifi hanno apportato un contributo considerevole nei settori della preistoria, della sociologia e dell’etnologia”.
Oltre ad essere un’occasione unica per celebrare il duplice e storico anniversario, la mostra di Palazzo Martinengo si pone dunque innanzitutto quale invito alla visita dei numerosi e differenziati parchi archeologici sorti in Valle Camonica attorno ai principali siti di arte rupestre, anche e soprattutto in vista di una loro valorizzazione turistica volta a stimolare l’intero turismo bresciano proprio attraverso questo patrimonio di valore incommensurabile.
La mostra
Curata da Raffaella Poggiani Keller, Direttore Archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, con la collaborazione di Massimo Tarantini, docente di Antropolgia presso l’Università di Siena, e di Carlo Liborio e Maria Giuseppina Ruggiero della SCA – Società Cooperativa Archeologica di Milano, la mostra si articola in tre sezioni, dedicate rispettivamente alla storia delle ricerche sulle incisioni rupestri camune, ai risultati delle ultime ricerche in situ e alla modernità del fenomeno, sottolineata attraverso l’interpretazione fotografica offerta da Emmanuel Breteau.
La prima sezione, curata da Massimo Tarantini, intende come detto ripercorrere la storia delle ricerche sull’arte rupestre camuna, per ricostruire quanto è stato fatto e studiato nei cent’anni ormai passati dalla prima segnalazione, cercando in particolare di superare una visione parziale centrata sull’eccezionalità della scoperta e dei suoi protagonisti per recuperare piuttosto la trama d’insieme della ricerca e delle dinamiche istituzionali, attribuendo la giusta attenzione al quadro storico e culturale al fine di considerare la scoperta dell’arte rupestre della Valle Camonica come parte di una storia più ampia.
A partire dalla scoperta di Laeng (1909) e dall’inserimento di una brevissima nota sui Massi di Cemmo nella prima Guida d’Italia del Touring Club Italiano (1914), si passa tra gli anni Venti e Trenta agli approfonditi studi condotti in contemporanea, l’uno all’insaputa dell’altro, dallo psichiatra e antropologo Giovanni Marro e dall’archeologo Paolo Graziosi, in un contesto in cui cominciava a manifestarsi anche l’interesse da parte della Soprintendenza, peraltro più volte costretta ad intervenire per cercare di porre un limite alle indagini svolte con metodi di dubbia scientificità da spedizioni non solo italiane più o meno improvvisate, mentre fascismo e nazismo – nel loro delirio razziale ed antisemita – cominciavano a leggere nell’arte camuna testimonianze di una presunta civiltà di razza ariana.
Le ricerche riprendono poi nel secondo dopoguerra, quando soprattutto grazie alla grande passione di Gualtiero Laeng, Emanuele Süss e Italo Zaina le incisioni rupestri camune tornano di attualità dopo un periodo di relativo oblio, e quando in Valle Camonica arriva un giovane studioso di formazione internazionale che risponde al nome di Emmanuel Anati, il quale – partito per un viaggio di studio di breve durata – a distanza di oltre cinquant’anni è ancora in Valle a lavorare sui pitoti e a promuovere iniziative di portata internazionale.
Infine, si arriva agli ultimi decenni, durante i quali – specialmente dopo l’ulteriore slancio determinato dal riconoscimento UNESCO – gli studi guidati dalla Soprintendenza, in cui vengono peraltro immessi nuovi specialisti di arte preistorica, conducono soprattutto ad interpretare le incisioni come parte di un più ampio contesto storico, archeologico ed antropologico, di cui si vanno a delineare limiti e caratteristiche all’interno di un progetto di salvaguardia finalmente preciso.
La seconda sezione propone i risultati di alcune delle più significative ricerche recenti, con l’obiettivo di porsi come premessa e invito alla visita delle incisioni nei luoghi che fanno parte dell’esteso sito UNESCO “Arte rupestre della Valle Camonica” (oltre 180 località distribuite nella bassa e media Valle, tra i 200 ed i 2000 metri di altezza s.l.m., con ben otto Parchi d’arte rupestre), attraverso la presentazione di materiale documentario e di alcune significative testimonianze originali che sono espressione pregnante di momenti, ritualità e conquiste fondamentali della storia dell’uomo nel corso dei millenni caratterizzati dalla pratica incisoria, tra la più antica preistoria e l’età storica, con epigoni fino ad epoca contemporanea.
Il percorso della Sezione prevede una scelta di soggetti e reperti che per antichità, per nuovi studi (che ne hanno rivisto cronologia e reinterpretato il significato) e per novità, in quanto scoperte recentissime ed emblematiche, costituiscono complessi di particolare rilievo e unicità. È il caso in particolare dei singolari monoliti istoriati – stele e massi menhir – mai esposti finora, provenienti da alcuni siti di culto e cerimoniali dell’età del Rame (IV e III millennio a.C.), ancora in corso di scavo.
Incisioni e monumenti sono altresì accompagnati da materiali archeologici provenienti dai medesimi contesti – e quindi espressione di atti, attività, rituali di chi frequentò i luoghi delle incisioni – o da contesti coevi che attestano la presenza dell’uomo in Valle Camonica anche nelle più antiche epoche della preistoria, alle origini dell’arte rupestre camuna.
In particolare, la mostra riporta i risultati delle ultime ricerche condotte su una roccia del Parco di Luine (istoriata con una figura animale già interpretata come “cervide” e invece oggi più probabilmente ritenuta raffigurazione di un “equide”), e su una coeva capanna rinvenuta a Cividate Camuno: ritrovamenti che sembrano appartenere al Paleolitico superiore (13.000-10.000 anni a.C.), ovvero ad una fase definita addirittura “protocamuna”. Non meno significativi i recenti studi condotti nei siti di Cemmo – il sito storico della scoperta delle incisioni camune – ed Ossimo-Pat.
Infine, la terza sezione della mostra, attraverso le immagini di Emmanuel Breteau - photographe du monde paysan alpin et de ses mutations come egli stesso ama definirsi - intende sottolineare la modernità del fenomeno delle incisioni quale elemento identitario e di tradizione della cultura camuna fino ad età storica moderna e contemporanea. Le fotografie presentate, che possono considerarsi seguito di analoghe ricerche condotte da Breteau sulle incisioni del Monte Bego nelle Alpi Marittime francesi, sono state scattate nel 2007, durante escursioni nei parchi di Capo di Ponte (Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri, Parco Archeologico Nazionale dei Massi di Cemmo e Parco Archeologico Comunale di Seradina-Bedolina) e nelle aree della Riserva Regionale delle Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo.
Si tratta di una scelta di soggetti incisi tra i più significativi, che costituiscono tuttavia solo una piccola parte del vasto repertorio di soggetti dell’arte rupestre camuna. Le fotografie selezionate mostrano scorci delle superfici rocciose modellate dall’azione dei ghiacciai, gruppi di incisioni o singoli particolari, dove l’uso del bianco e nero, più del colore, permette di focalizzare l’attenzione sui dettagli. Ogni immagine è accompagnata da un breve commento nel quale si è cercato di prediligere una lettura “emozionale”, che accompagna il lettore lungo il cammino degli oltre 10.000 anni di storia in cui si svolge l’arte rupestre camuna.
Non mancano naturalmente gli indispensabili riferimenti alla metodologia della ricerca archeologica e alla cronologia, che sono stati però lasciati sullo sfondo proprio per far “parlare” le immagini, cariche di significati un tempo comprensibili a tutti e oggi non sempre riconoscibili: un invito per il visitatore ed il lettore alla conoscenza diretta sui luoghi delle incisioni.
Completa la rassegna un’ultima sezione specificamente dedicata ad altri due importanti centenari che la Valle Camonica celebra nel 2009, quello della ferrovia Brescia-Iseo-Edolo – completata con l’arrivo dei binari a Edolo il 4 luglio 1909 – e quello della Tipografia Camuna – fondata a Breno il 6 ottobre dello stesso anno –: due realtà il cui importante apporto economico, sociale e culturale sviluppato nel corso dei decenni seguenti è evidente testimonianza di quanto il 1909 sia stato per la Valle, sotto tutti i punti di vista, un anno particolarmente fecondo e vitale.
L’allestimento
Curato da Domenico Franchi – scenografo e artista visivo bresciano attivo in molti dei principali teatri d’opera di tutta Europa – con la collaborazione di Michela Andreis, di Stefano Abastanotti e degli studenti della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Brescia “SantaGiulia”, l’allestimento della mostra non intende semplicemente decorare le sale del percorso, ma al contrario punta in primo luogo a ricreare la suggestione degli ambienti boschivi in cui le incisioni rupestri camune furono realizzate, per suggerire l’impressione di una natura suadente ed arcana. D’altra parte, la relazione con l’ambiente naturale è un elemento da cui non si può prescindere per comprendere le incisioni rupestri, che nascono – quasi fossero una sorta di “Land Art” ante litteram – in un legame indissolubile con la magia della natura (quella stessa magia che inevitabilmente accompagna la scoperta e lo studio di questi reperti da parte di qualsiasi esploratore in qualsiasi epoca).
A tale scopo, nelle sale di Palazzo Martinengo sono state riproposte – attraverso teli semitrasparenti delicatamente illuminati, accompagnati da una sonorizzazione incentrata sui rumori della natura – le atmosfere visive e sonore di boschi segnati dall’incessante ed eterna alternanza delle stagioni: una chiave di lettura particolare, che per dare spessore all’idea dell’antichissima ed apparente immutabilità della pietre incise le immerge nella loro splendida cornice ciclicamente mutevole e vitale, in cui appunto atmosfere, stagioni, colori e suoni si alternano in uno splendido ritmo di danza. Un concetto semplice ma immediato, come è semplice e immediato – ma allo stesso tempo capace di resistere all’ineluttabilità dello scorrere del tempo – il primordiale segno dell’uomo.
La prima saletta – preludio alla visita della mostra – ospita un bosco ordinato e chiaro, che ci inserisce sin dall’inizio in un ambiente rassicurante, caratterizzato da un’atmosfera naturale che accoglie il visitatore senza impaurirlo né respingerlo in alcun modo; a breve distanza, un secondo ambiente ospita un bosco innevato, che sembra invece esaltare la forza drammatica del segno inciso in uno splendido e gelido panorama a tratti surreale.
Sempre al pianterreno, un terzo ambiente ci immerge nel calore delle atmosfere umide e lussureggianti di un bosco estivo dalle infinite tonalità dei verdi, mentre al piano nobile l’autunno esplode nelle fiammeggianti chiome in cui la natura sembra intonare l’ultimo canto prima di morire per rinascere a nuova vita.
Brescia, Palazzo Martinengo
Spazio Incontri
Ingresso da Piazza del Foro, 6
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