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Mark Tobey - Poeticamente astratto
dal 28/3/09 fino al 26/9/09
presso
Agnellini Arte Moderna
Comunicato stampa
Prosegue il successo e l'attività della Galleria Agnellini Arte Moderna, una nuova e interessante realtà recentemente inaugurata a Brescia e subito divenuta punto di riferimento e di fiducia per gli appassionati dell'arte.
Dopo gli ottimi risultati ottenuti con Jacques Villeglé, l’interessante programma porta ora in scena un altro grande protagonista della storia dell’arte: Mark Tobey poeticamente astratto è il titolo dell’antologica, curata da Philippe Daverio e Dominique Stella, che propone circa novanta opere dal 1925 al 1974, in gran parte inedite e tutte autenticate dall’”Archivio Tobey” di Muenster (Germania).
I lavori esposti, realizzati nelle diverse tecniche, dall’inchiostro alla tempera, dalla penna a sfera alla matita, dal gesso al pastello, riflettono astrazioni dettagliate, che sono il segno distintivo dell’opera di Tobey. Le sue tele, spazi densi di colore uniforme e di linee ripetitive, sono allo stesso tempo semplici e complesse, intellettuali e intuitive. I colori scuri, i grigi e il tocco sottile caratterizzano la maggior parte di questi dipinti ed evocano spesso il mondo naturale, in particolare mostrano la natura in primo piano. Ricordano una rete di cellule, viste attraverso un microscopio, una superficie rocciosa segnata dalle intemperie o le venature della corteccia di un albero.
Decisivo per la sua opera è il momento in cui Tobey si accosta alla fede Bahá'í, dedicandosi ad uno studio approfondito di questa religione che lo accompagnerà per tutta la vita: attraverso tali credenze Tobey inizia a dedicarsi alla rappresentazione dello “spirituale” nell'arte. La fede Bahá'í esercita un forte impatto e, infatti, “fu una vera biforcazione spirituale cruciale nella vita e nell’opera di Mark Tobey”, come scrive William Seitz nel testo in catalogo della mostra al Museo d’Arte Moderna di New York. “La fede di Tobey traspare nella qualità della densità, intensità e luminosità delle sue tele”, ha dichiarato M. Ottenbrite “i suoi dipinti sono molto umani”.
La fede Bahá'í e le credenze sull’unità e la diversità, sull’unicità di tutti i popoli e le religioni, ha certamente indotto Tobey a sperimentare forme e stili diversi; l’arte e gli oggetti artigianali del mondo orientale lo catturano e proprio durante diversi viaggi in Oriente comincia a studiare la calligrafia e la pittura a pennello praticata soprattutto in Cina. Č qui che nasce il suo futuro stile: la scrittura bianca White Writing.
Tobey è, agli inizi della sua carriera, un artista figurativo e le opere più significative appartenenti a questo periodo si riconoscono in Still life on a table, una delicata natura morta del 1930, e l’eccellente ritratto di Matisse, Portrait d’homme, un pastello su carta.
Vi è poi la serie intitolata Hornblower, risalente agli primi anni Cinquanta, raffigurante suonatori di corno che sono un omaggio ai musicisti di jazz, grande passione dell’artista.
Dalla metà degli anni Cinquanta inizia il vero lavoro di Tobey, che esprime il segno tipico che lo consacrerà come uno degli artisti più importanti del ‘900: i suoi dipinti diventano interamente astratti, si fondano su piccoli gesti ben controllati della mano. Emblematiche in questo senso sono le opere del ’56-’58, mentre a partire dal 1958, durante un periodo trascorso in Giappone, sperimenta la serie di Sumi. Questi lavori, realizzati in serie, sono creati con inchiostro giapponese su carta povera.
In mostra si possono inoltre ammirare tre originali vetrate dipinte a mano del 1970 e alcuni bozzetti, non datati, sull’arte antica greca e romana.
L’attenzione portata ai dettagli e la concentrazione dello spirito appaiono in tutte le sue opere, come lo stesso Tobey nel 1962 dichiara: “devo ammettere che la fede mi ha donato una forza straordinaria e ho potuto utilizzarla senza fare propaganda. Č vero che oggi si parla di stili internazionali, ma penso che in futuro si parlerà di stili universali… il futuro del mondo deve essere la materializzazione della sua unicità, che è l’insegnamento di base della fede Bahá'í, così come la intendo io, e a partire da questa unicità emergerà un nuovo stile dell’arte”.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Shin Factory con testi critici di Philippe Daverio e Dominique Stella.
Cenni biografici
Mark Tobey è nato nel 1890 nel Midwest (USA), dove ha trascorso gran parte dell’infanzia. Scopre sin da giovane la passione e l’attitudine al disegno, in cui si cimenta partendo dalla copia delle copertine delle riviste e dai disegni di ritratti per le illustrazioni di cataloghi.
Nel 1911 abbandona Chicago per trasferirsi nel Greenwich Village di New York, deciso ad essere disegnatore di moda.
Durante il decennio seguente il suo talento viene progressivamente riconosciuto e diventa un pittore ricercato: comincia, infatti, a ritrarre numerose e importanti personalità dell’epoca.
Tra il 1920 e il 1940 compie diversi viaggi in Oriente: prima in Cina, poi in Giappone dove trascorre un mese presso un monastero Zen, e in Medio-Oriente dove ha la possibilità di visitare i santuari Bahá'í.
Ritorna in Inghilterra, poi di nuovo negli Stati Uniti dove hanno luogo alcune importanti esposizioni. Nel 1958 Mark Tobey riceve il primo premio alla Biennale di Venezia.
Nel 1961 il Louvre gli dedica un’esposizione personale di 300 opere: è Tobey il primo artista non francese ad essere ospitato in una sede tanto prestigiosa.
Nel 1974 a Washington presso la “National Collection of Fine Arts”, che fa parte del “Smithsonian Institution”, viene organizzata una mostra intitolata “Hommage à Mark Tobey” con circa 70 opere. Mark Tobey muore a Basilea nel 1976 portando con sé grandi successi internazionali e un forte apprezzamento europeo.
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