|
Gente che conta
Renato Mambor
dal 11/3/06 fino al 10/4/06
presso
Art Time
Comunicato stampa
Essendo dati: l’uomo, l’occhio e le cose nel mondo, proviamo a separare e poi tenere uniti nella mente gli elementi principali della percezione visiva. Scontornare, suddividere e dissociare, mettere in evidenza tempi e tecniche della immagine perché l’occhio sia libero di “ragionare a modo suo” come se la coscienza si potesse sciogliere in una più ampia e universale comunione fisica e psicologica.
Nella tensione tra l’ordine e il disordine Renato Mambor tiene fede al principio che vedere è un atto creativo. E propone l’opera come un gesto fatto in pubblico : una esperienza da condividere con altri, per attraversare, riconoscere e recitare la grammatica speciale dei più intimi segreti del cosmo. Il quadro concepito da Mambor è uno spettacolo e un teatro dello sguardo. Equilibrio, perfezione e indifferenza possono fare tutt’uno se ci si limita alla superficie della contemplazione.
Ma nel tentativo di ''salvare il mondo'' dalla confusione senza limiti (entropìa della forma organizzata) l’esperienza estetica non blocca la corrente della vita. Anzi. Mambor elabora un fitto gioco percettivo (armonie, disarmonie, dinamismi ed equilibri, stesure prescelte del colore e impulsi cromatici casuali) che persuade ed invita a pensare esaltando la visione nella scrupolosa indagine delle sue componenti.
L’incanto di figure sagomate di profilo o di spalle, l’anestesia informativa del dettaglio, la ripetizione differente di immagini stereotipate, potenzia l’occhio che vuole ''mettere a posto il mondo''. L’artista propone un passaggio controcorrente dal complesso al semplice, verso una emozione originaria, in un cosmo dove la natura e il genere umano non siano più in contrasto tra loro.
''Le più grandi verità del mondo sono le più semplici -ammoniva il sapiente induista Svami Vivekananda- semplici come la vostra esistenza''. Nel riassumere i fasti della percezione dentro il quadrato e il cerchio di un rituale e simbolico ''mandala'', Mambor indica il tracciato di un viaggio immaginario oltre la ''pelle delle cose''.
E allora andiamo pure tu ed io (''Let us go then, you and I'') come T.S.Eliot per una selva chiara di simboli e allusioni, banalità esemplari, indicative, foresta di concetti diffusi come note di una consueta melodia e pure così strana che attira e meraviglia….
Sul ritmo insonorizzato del ''Canto d’amore di J.Alfred Prufrock'' mi appare adesso tutto il valore della segnaletica di Renato quando suscita ricordi lievi e pure così intensi come lo stampo di una esperienza vissuta: messaggi introversi, tutti mentali e tanto più evidenti come una etichetta imposta alla vita che scorre, stilemi di una esistenza appena catturata dalla immagine e risolta in metafora, oppure schema di una percezione ordinatrice, misura d’ordine, e accurata ''pulizia dello sguardo''.
Renato compone freddi madrigali e ritaglia le figure che abbagliano lo spettro di una retina prensile e molto emotiva. E però di quella intensa emozione iniziale egli fa trapelare giusto il più asciutto profilo: così vuole il principio di una comunicazione chiara e discreta che tocca e persuade come il bulino di un orafo e il lapidario detto di un profeta.
|
|
|